Solosiberia, la Siberia e le genti della Siberia

Cosa fare in viaggio? Come fare in viaggio?

Approccio, giudizi e relazioni

Un modo di viaggiare

 

Solosiberia su Twitter: #solosiberia_it

 

Sono appena tornato dal mio undicesimo viaggio in Siberia (luglio 2012), che è stata anche la mia tredicesima volta in Russia.  Per ora ho percorso poco più di 57.000 km sulle ferrovie russe, viaggiando su ogni tipo di vagone, e circa 10.000 km che si dividono tra strade, mulattiere e sentieri di ogni tipo, e tra laghi, fiumi, foreste. La conoscenza della lingua russa mi permette di capire e di parlare con chiunque senza problemi. Inoltre in Russia c’è un proverbio che dice “Quante lingue conosci, tante volte sei una persona diversa”. Posso confermare la veridicità di queste parole, infatti, se si vuole, conoscere una lingua non è un semplice fatto tecnico, ma implica anche addentrarsi nella cultura del popolo della cui lingua si tratta. Meglio si possiede l’idioma di un popolo, meglio lo si conosce “dal di dentro”.

Questo testo non ha alcuna intenzione polemica nei confronti di nessuno né vuole essere esaustivo né pretende di delineare un modello scientifico con cui confrontarsi per viaggiare nelle regioni di cui si interessa questo sito. Le mie parole che seguono vogliono essere un motivo di confronto, di critica, di chiarimento rispetto a tante sfaccettature che emergono dagli scambi di esperienze con le persone che viaggiano in Siberia e che prima, durante o dopo si rapportano con me per questioni riguardanti il loro viaggio.

Ho voluto fare una sintesi di un insieme di attitudini, comportamenti e mentalità con cui chi scrive affronta e vive i viaggi in Siberia. Scrivo dunque queste righe per mettere in chiaro le modalità di viaggio relazionali, emotive e intrinseche di solosiberia. Viaggiando in Siberia ho imparato che si entra in contatto e che bisogna considerare vari aspetti, tutti a diverso titolo attinenti all’esperienza di viaggio e che interessano le nostre percezioni e i nostri sentimenti, nonché la crescita interiore ed umana di ogni persona.

 

In particolare bisogna considerare:

 

1) l’ambiente naturale in cui ci si trova;

 

2) le nazionalità che si incontrano e la nazionalità russa in particolare;

 

3) la storia dei territori attraversati;

 

4) collegato al discorso delle nazionalità: la cultura con cui si ha a che fare e le sue varie sfaccettature;

 

5) il proprio carattere e le attitudini socio-politiche;

 

6) la disponibilità a decolonizzare il proprio immaginario e aprirsi ad altri valori e tradizioni;

 

7) l’importanza che si dà al viaggio intrapreso e, parallelamente, quanto si è disposti a adattarsi (in ogni campo) per portarlo a termine.  

 

   

 

1) L’ambiente naturale

 

Può essere fondamentale. Se si viaggia solo lungo le linee ferroviarie o lungo le strade federali e si toccano le principali città, non ha grande importanza, ma se ci si sposta dall’agglomerato urbano e dalle grandi direttrici del traffico, per visitare luoghi più lontani, è essenziale conoscere le caratteristiche dell’ambiente cui si va incontro. Errori nell’abbigliamento, nell’attrezzatura/accessori/conoscenza del territorio da affrontare, possono rovinare del tutto l’esperienza di viaggio oppure, in casi peggiori, costare caro in termini fisici/monetari.

         Iniziamo a distinguere tra inverno ed estate. Per la prima esperienza invernale oltre gli Urali bisogna tenere conto che i mesi più freddi e caratteristici vanno dalla seconda metà di dicembre ai primi di marzo. I grandi fiumi ghiacciano generalmente verso fine novembre (se teniamo conto delle regioni della zona meridionale lungo la Transsib). Il Bajkal ghiaccia dopo la metà di gennaio e resta ghiacciato fino a fine aprile (ma con variazioni da nord a sud, visto che è lungo 600 km). Da ricordare bene che ormai il clima è cambiato e sta ancora continuamente modificandosi verso temperature sempre più calde e non si può più parlare di vero inverno siberiano già da un po’ di anni, basta confrontare i dati storici delle temperature.

Alle solite domande “Fa freddo in Siberia d’inverno?” “Quanti gradi sotto?” dico subito che è impossibile rispondere. Bisogna specificare bene dove e quando, La Siberia è immensa e la temperatura di gennaio a Tomtor è grandemente differente rispetto a quella di fine novembre a Tomsk. Inutile fare un grafico delle temperature, basta chiedere di volta in volta in base al posto in cui ci si reca. Abbigliamento: un piumino in genere va bene, la sciarpa in Russia quasi non si usa, almeno nelle città, quindi valutate voi. Cappelli, calze, guanti e scarpe consiglio di prenderli sul posto per l’affidabilità dei materiali e i costi irrisori rispetto all’Europa (non perché in Russia tutto costa poco, ma perché le cose calde invernali per coprirsi per loro sono indumenti normali mentre da noi sono abbigliamento tecnico o speciale e costa parecchio). Calzamaglia per temperature da -5° in giù. Se si sta in città degli stivaletti nostrani di cuoio ben fatti e doppie calze possono bastare. Per temperature sotto i -25° invece comprerei qualcosa in loco appena arrivato. Attenzione, perché non essere coperti adeguatamente può portare ad odiare l’esperienza che si sta facendo fino a non farne apprezzare nulla. Il vento è un nemico da non sottovalutare per nulla, abbassa la sensazione di freddo percepito di parecchi gradi. Foto e riprese sono molto difficili, le batterie dai -20° in giù si scaricano entro qualche decina di secondi. Non esiste una regola unicamente valida se non quella di tenere sotto giacca e magari anche maglione la macchina fotografica. Ricaricare le batterie non è sempre possibile (vedi mio viaggio febbraio 2011 nella foresta) quindi questo va tenuto presente per non sprecare energia inutilmente (display lcd spento se possibile!). Si è rivelato utile cucire un apposito cappottino (che copre sempre la macchina fot./videocamera, da non togliere durante gli scatti) per le apparecchiature video/fotografiche, se usate le maniche di qualche vecchio accappatoio di buon spessore viene bene.

         Camminando per strada bisogna dare un occhio a neve e ghiaccio che possono cadere dai tetti (spesso è segnalato con cartelli sui muri, in russo) e anche uccidere, visto che certi ghiaccioli possono pesare decine di chili. Prepararsi a sbalzi di decine di gradi quando si entra nelle case, nei vagoni o in generale nei luoghi chiusi, in cui il termometro viaggia a una media di +25°/+30° e si sta in maglietta. Bere un goccio contro il freddo serve solo a dare una fiammata all’esofago momentanea e a rovinare le arterie. Non scrivo nulla per la vita in luoghi isolati e solitari, nella natura d’inverno, perché chi ci capiterà sarà con persone del posto esperte oppure sarà uno già rodato che non ha bisogno di consigli. Ecco l’unico consiglio è questo: non avventuratevi nel nulla senza la giusta compagnia, esperta e prudente.

         L’estate in Siberia è calda. Sempre tenendo presente per questa affermazione la lingua di territori che si snoda lungo la Transsib. Le estati ormai sono sempre più calde e secche, basta vedere gli anni dei record delle temperature estive, sono quasi tutti anni recentissimi. Nel 2012 per tre mesi nella Siberia centrale non è piovuto mai (vedi il viaggio estate 2012) e i bacini di tutti fiumi principali ne hanno risentito in maniera eclatante (Kemerovskaya obl., Tomskaya obl., Novosibirskaya obl., Altajskij kraj). Il 13 agosto 2012 a Krasnoyarsk per la prima volta a memoria locale si è deciso di cancellare i collegamenti fluviali di settembre lungo lo Yenisej. I traghetti partiranno da Yenisejsk (porto qualche centinaio di km più a nord di Krasnoyarsk), non da Krasnoyarsk!!! Lo Yenisej è il fiume russo con la più grande portata. I locali danno la colpa a chi gestisce le dighe a monte e trattiene l’acqua e questo va considerato, ma resta il fatto che la mancanza di pioggia, gli inverni con sempre meno neve sono una minaccia per la sopravvivenza di questi fiumi così come li conoscevamo. Stessa sorte tocca all’Ob, privo di pesci e secco a Barnaul nel 2012, come mai si era visto. Anche qui cancellati i collegamenti fluviali locali. Quindi sfatiamo il mito della fredda estate siberiana, almeno al sud della Siberia. Lungo le coste del Bajkal è sempre invece fresco e questo va ricordato, per prepararsi adeguatamente. Collegata alla tematica acquatica è la questione delle zanzare e degli altri insetti “pungenti”. Semplicemente si può dire che fuori dalle grandi città, cioè dai piccoli centri e via via aumentando fino ai territori disabitati limitrofi a fiumi, laghi, paludi, acquitrini e sempre e comunque nella foresta la presenza di insetti è un vero e proprio incubo che sicuramente rovinerà ogni attimo del viaggio in questi luoghi, se non adeguatamente preparati. I repellenti funzionano ma spesso sono tossici anche per la pelle, se non lo sono significa che sono troppo “innocui” e non agiscono bene. Se si sta all’aperto in luoghi disabitati, nella foresta o comunque nei posti più infestati è d’obbligo indossare una rete che copra la testa e il collo. Pantaloni lunghi sempre. E pazienza, una dose incalcolabile. Se non avete pazienza non ce la farete. Scrivo queste righe ricordando quelli che ogni tanto mi raccontano del “posto più brutto in cui sono stato” o “dell’esperienza più fastidiosa” e poi si va a scoprire che quel posto non era in sé malefico, ma la non preparazione ad affrontare le zanzare ha fatto si che quella parte di viaggio si sia rivelata una tortura. Oltre il circolo polare la faccenda si fa ancora più seria durante la corta estate artica: qui il flagello degli insetti è all’ennesima potenza e mette a rischio la vita se non si è protetti più che bene. Già che siamo in tema un accenno alle paludi e alle zone paludose: chiedete bene a chi viaggia con voi se e dove si presenti il pericolo di sabbie mobili, che sono un’insidia da non dimenticare.

         Nelle zone più remote, prive di insediamenti, l’acqua dei fiumi è generalmente potabile senza nemmeno farla bollire né filtrarla, ma non fidatevi ciecamente delle mie parole e pensate con la vostra testa se toccherà a voi bere da un fiume. Già che siamo in tema parliamo delle paludi: la cosa più importante da chiedere a chi vi guida (nessuno andrebbe da solo senza gente che conosce il luogo) è di segnalare la presenza di sabbie mobili. Ci vuole poco a sprofondare senza riuscire a risalire, magari sotto il peso di uno zaino sulle spalle. Uno dei libri dell’archivio di solosiberia ha un intero capitolo dedicato alle condizioni di attraversamento delle paludi.

Altro pericolo estivo da considerare con sempre più attualità è quello degli incendi, quasi sempre causati dall’uomo. Nell’estate 2012 il fumo che investiva la Siberia centrale ha causato lo smistamento di centinaia di voli su altri aeroporti della zona. A Tomsk ai primi di luglio 2012 la nebbia caliginosa era così fitta da non permettere una visibilità oltre i 400 m. Il fumo può viaggiare per centinaia di km e rendere l’aria irrespirabile anche a grandi distanze dall’incendio e rappresenta una minaccia per chi si trova nella foresta senza possibilità di evacuazione rapida.

Veniamo alla preoccupazione principe di chi si avventura in Siberia, soprattutto le prime volte: le zecche. Chi visita le città, i loro dintorni, viaggia in auto, treno, autobus e al massimo compie una gita di qualche ora nella foresta, NON ha motivo di preoccuparsi (a meno che faccia una scampagnata tra aprile e giugno, mesi di attività frenetica delle zecche). Tra le specie di zecche si trovano quelle che danno l’encefalite e conseguente paralisi o morte. Nel 2012 ho viaggiato via fiume e a piedi nel pieno della foresta vergine e ho pensato bene a come prepararmi. Innanzitutto i vestiti: esistono tute per la foresta apposite, costano cifre assurde, si trovano a Mosca o nelle grandi città. Comunque, con vestiti apposta o meno, bisogna andare nella foresta con il corpo coperto, vestiti lunghi dunque, come per proteggersi dalle zanzare, esistono anche repellenti appositi per le zecche. Cappuccio, rete su volto, testa e collo, calzature spesse e alte sulla caviglia, guanti. Ogni giorno controllare bene il corpo, soprattutto testa, collo, ascelle, spazi dietro le orecchie. Controllare sacco a pelo e tenda. La mia unica precauzione prima di partire è stata rasarmi il cranio a zero. Il vaccino è procurabile in Russia ma è termolabile e può stare solo qualche ora fuori da un frigo, quindi per portarlo qui è a rischio durante il viaggio o lo si porta in una borsa frigo (in Italia non c’è - o le persone a cui ho chiesto mi hanno risposto ingannandomi!). Comunque va inoculato 45 giorni prima dell’ipotetica esposizione, continuando poi con altri richiami. Non ho per questi motivi utilizzato alcun vaccino, ma con noi avevamo delle pastiglie di “iodoantipirin” che vanno prese come profilassi in caso di puntura, secondo uno schema prestabilito. In due settimane nella foresta, anche tra erbe alte più di due metri, non sono mai entrato in contatto con nessuna zecca. In caso di puntura bisogna è importante cercare di estrarre la testa della zecca per presentarla al punto medico più vicino, poiché le specie si individuano dalla testa (per queste procedure nell’archivio di solosiberia esiste della documentazione in alcune guide sulle regioni più a rischio). Se ci trova a 300 km dal primo ambulatorio e si è a piedi nella foresta, non ci sono strade, come sarei comunque potuto arrivare a far vedere la testa a un medico? Rispondere a queste domande fa la differenza tra la vita e la morte.

 

Non mi piace il modo di viaggiare di chi mi manda messaggi tipo ”domani parto per la Kamchatka, cosa mi porto?”; oppure “sono stato a Davos l’inverno scorso, passare gennaio a Tomsk è simile?” e via dicendo. Queste persone dimostrano di non aver capito nulla dei luoghi dove stanno andando e, parallelamente, di non interessarsene minimamente. Non dico di fare come me, che ormai preparo con più di un anno di anticipo le mie scorribande, ma almeno qualche mese di approfondimento è necessario per questi luoghi. Come si fa a scrivere il giorno prima (è capitato davvero) o poco tempo prima di partire per terre di cui come minimo bisognerebbe aver letto qualche guida, qualche info trovata in rete o comunque aver iniziato la conoscenza ben prima della partenza? Ed ecco che arriva alla ribalta la mentalità che tende ad imperare attualmente: tutto e subito, fretta dilagante, niente di approfondito, niente di desiderato e niente di ragionato. Qualche ora di aereo e via, poi sul posto si vedrà. Gli impegni quotidiani, il l-a-v-o-r-o (mi viene un conato solo a scriverla questa parola), le beghe personali ecc.ecc….e la Kamchatka e la sua gente passano all’ultimissima posizione, non si pensa a loro nemmeno quando di fretta si riempie lo zaino qualche ora prima del decollo, buttando in fondo a una tasca una guida da sfogliare prima del check-in. Non che la meta del viaggio in sè, la gente stessa che si incontrerà o altri argomenti debbano prevalere per qualche strana ragione sulle priorità della vita di ognuno, ma, al contrario, bisogna trovare tempo ed energie per interessarsi veramente a ciò che si fa in maniera approfondita, regalandosi la parte migliore di sé, non relegando i propri interessi e passioni nello sgabuzzino temporale e materiale dell’esistenza. Bene, ecco perché dico “allora andiamo in treno!!!” o comunque via terra (ma non in auto, mezzo troppo inquinante, meglio l’autostop). Muoversi via terra costringerebbe le persone a meditare bene sul luogo dove stanno andando e perché vogliono raggiungerlo, tirando fuori motivazioni, interessi e passioni genuine, tirando fuori il meglio delle proprie qualità (nell’organizzare, nel pensare, nell’informarsi, nel vivere una nuova esperienza appieno). Quelli che davvero vogliono arrivarci, ci arriverebbero comunque e resterebbero a casa tutti quelli che chissà per quale grillo nella testa hanno deciso di “volare in Kamchatka”. Questi ultimi, giunti sul posto, potrebbero avere seri problemi legati a diversi aspetti del viaggio, di cui uno è quello ambientale che ho da poco descritto. Ho volutamente esagerato nei concetti di questa parte, per scuotere qualcuno che è arrivato a leggere fin qui con il messaggio che intendo portare avanti...chiaramente la maggior parte delle persone che mi scrivono hanno alle spalle un “cammino ragionato” verso il viaggio e dimostrano rispetto per quello che fanno, per sé stessi e per chi incontreranno. Il mio monito vuole svegliare quelle persone che si fanno abbindolare dai tratti peggiori della potente dis-cultura presente, che cerca di ammorbare le menti relegandole al ruolo di oggetto e non di parte attiva: “l’agenzia organizza un trekking un kamchatka”; “l’hotel prepara cibi locali per gli ospiti”; “voliamo in Kamchatka in qualche ora”…ecco qualche esempio di come ci vengono offerte razioni preconfezionate di esperienze che non ci insegnano nulla, la nostra mente in questi casi è solo un fruitore passivo, non assimila nulla e soprattutto non compie alcuno sforzo, atrofizzandosi. Invece è il viaggio indipendente che deve trionfare! Pensiamo al percorso da fare, organizziamo una camminata, parliamo con la gente locale senza filtri, cerchiamo una sistemazione dove dormire, scegliamo al mercato locale il cibo, in una parola “viviamo pienamente!”…ma andiamo avanti a leggere gli altri aspetti da considerare in viaggio.

 

2) Le nazionalità che si incontrano e la nazionalità russa in particolare

 

Viaggiare in Siberia significa proiettarsi in un caleidoscopio di etnie e nazionalità diverse, soprattutto se si viaggia in luoghi sempre più remoti, dove più facilmente sopravvive la cultura e l’identità dei rappresentanti odierni delle popolazioni indigene. Da nord a sud, da est a ovest, il territorio asiatico russo è popolato da molte anime differenti, di cui bisogna tenere conto per viaggiare in maniera consapevole.

         I russi sono quasi ovunque la maggioranza della popolazione. Sono i discendenti dei coloni, dei deportati di varie epoche, dei primi esploratori cosacchi, della popolazione russa moderna che si sposta all’interno del paese in cerca di lavoro o di nuove opportunità. Non esistono grosse differenze tra un russo europeo ed uno che vive nell’estremo oriente russo: non ci sono dialetti locali marcati, come da noi, non ci sono usanze differenti né tradizioni diverse. La popolazione russa è molto omogenea in tutto il paese, secondo la mia opinione. Emergono tuttavia delle discontinuità rispetto al russo medio di Mosca e delle altre grandi città della parte europea: sono legate alla mentalità e alle condizioni socio-politiche della regione in cui ci si trova. Per quanto riguarda la mentalità, si può affermare che nella parte asiatica è molto più presente un modo di pensare appunto più “orientale”, distinto rispetto alla forma mentis che si sta impossessando del russo occidentale (soprattutto di quello urbano). Si respira in Siberia una vicinanza con i grandi paesi dell’Asia: a Krasnoyarsk a capodanno 2011 in una delle piazze principali spiccava la figura di ghiaccio di una lepre, simbolo dell’anno nuovo secondo il calendario cinese, “sentito” e “vissuto” anche in parte di queste regioni. A Mosca nello stesso periodo nessun riferimento all’anno della lepre.

Siamo qui più lontani dalla mentalità progressista, dalla vita iper-attiva, dai valori materiali e dalla frenesia esistenziale dell’occidente. Non bisogna dimenticare che tutte queste considerazioni devono essere calibrate in maniera diversa anche in Siberia tenendo conto delle differenze tra città e campagna. Il cittadino delle grandi città siberiane ha comunque un’impronta diversa da quello che vive in provincia e ancora di più da chi vive/sopravvive nelle località sperdute (individuabili grosso modo con quei posti che si trovano da qualche centinaia fino a  migliaia di km dalla ferrovia). Questa considerazione in Russia va tenuta ben presente: la diversità tra città e campagna. Ovunque. Chi vive a Mosca è diverso da chi vive nella campagna della Russia centrale come chi vive a Novosibirsk è diverso da chi abita nei piccoli centri delle regioni limitrofe. Naturalmente va sottolineato che il cittadino moscovita ha comunque dei profili di diversità dal cittadino di Novosibirsk, come tra loro sono diversi in qualche maniera i rappresentanti della campagna russa europea e della campagna siberiana. Abbiamo quindi un doppio livello di disuguaglianze da tener presente: Russia europea/Russia asiatica e città/campagna...senza dimenticare che, soprattutto in Siberia e nell’estremo oriente russo, esiste anche la terza dimensione, quella delle “comunità sperdute” che vivono lontano da tutto.

         Le diversità di cui parliamo rientrano comunque in una sfera limitata, come ho scritto sopra, perché non bisogna dimenticarsi, come ho già evidenziato, che i russi che vivono nella parte europea sono comunque assimilabili culturalmente ai russi che vivono dalla parte opposta del paese (per lingua, religione, cultura, identità nazionale, valori principali). Tra le caratteristiche riscontrabili ovunque in Siberia e nell’estremo oriente russo c’è l’avversione/odio/conflittualità tra la gente del posto e Mosca. La capitale è individuata come il centro di ogni misfatto e la fonte di ogni problema per la dimensione locale delle regioni più lontane. “Le nostre ricchezze, i nostri soldi servono per nutrire Mosca e indietro non ci danno che le briciole”: questa è una delle frasi più gettonate. Si può arrivare fino al desiderio estremo di vedere distrutta Mosca per mano di qualche organizzazione terroristica oppure si favoleggia di una prossima disgregazione della Russia, con tutte le terre oltre gli Urali viste come facile preda della Cina. L’indipendenza di questi territori viene rarissimamente prospettata, come se potessero essere solo spartiti tra Cina o Russia. Nei miei viaggi ho visto, una volta sola per ora, adesivi di un partito politico su cui era stampato “la Siberia non è una colonia – basta depredare!” e il relativo sito internet dell’organizzazione che propaganda queste idee.

         Veniamo alla etnie vere e proprie, distinte dai russi. Si può scrivere un elenco corposo di queste popolazioni indigene della Siberia o dell’Asia centrale e poi trasferitesi in queste terre nel corso dei secoli e comunque prima dei russi. Ecco una lista non esaustiva: Kamassi, Nentsi, Nganasani, Selkupi (gruppo dei Samoyedi); Khanti, Mansi (gruppo finnico); Eveni, Evenki (gruppo tunguso); Yakuti, Tuvintsi (gruppo turco); Buryati (gruppo mongolo), Nivkhi, Koryaki, Chukchi, Yukagiri, Kamchadali (popoli paleosiberiani); altre popolazioni: Keti, Komi, Orochi, Nanajtsi. Alcune di queste popolazioni sono composte solo da qualche migliaio di persone e sopravvivono ai margini dell’”impero russo”, senza ricevere adeguata attenzione da parte dello stato. Altri gruppi sono più numerosi e sono riusciti a conquistarsi più spazio e potere all’interno delle regioni e repubbliche che compongono la federazione russa (Yakuti e Buryati ad es., che sono in numero nettamente superiore alle altre piccole etnie e che parlano la propria lingua oltre al russo all’interno dei territori da loro abitati – a Yakutsk si può dire che la prima lingua è lo yakuto). Nell’archivio di solosiberia sono conservati vari volumi che trattano delle etnie presenti in Siberia, affrontando l’argomento sotto vari punti di vista, da quello filologico a quello socio-politico ed economico. Viaggiare nei territori dove si registra la presenza di queste minoranze è interessante, perché si ha la possibilità di entrare in contatto (se ci si prepara bene prima della partenza e si studia come entrare in reale contatto con questi gruppi) con gli ultimi rappresentanti di culture in estinzione. La modernizzazione del paese, la povertà (non intrinseca, ma dipendente dalle razzie del potere centrale) delle aree in cui di solito sono insediati, la costruzione di opere e vie di comunicazione che stravolgono l’ambiente naturale in cui da sempre queste persone vivono, l’alcool, la sedentarietà forzata che durante alcuni anni dell’URSS veniva loro imposta, sono solo alcuni dei problemi che ostacolano la vita di queste etnie. La sopravvivenza delle lingue locali è una delle battaglie che vengono portate avanti per conservare la cultura e le tradizioni. L’isolamento, ormai non più garantito dalle barriere naturali (catene montuose, foreste, ecc.), porta sempre più al contatto con i russi e con la moderna società, che contamina la purezza dei valori, delle abitudini e stili di vita di queste genti. Entrare in contatto con loro in maniera genuina significa ad esempio evitare intermediari come agenzie turistiche non locali che sfruttano il richiamo del tour “etnografico” per mostrare per qualche ora ai “turisti” come vivono questi o quei popoli, chiedendo parecchi soldi che resteranno, per la maggior parte, nelle tasche degli organizzatori. Bisogna sforzarsi il più possibile di trovare contatti “locali” (associazioni, gruppi spontanei che fanno capo direttamente alla popolazione in questione) per poter addentrarsi davvero nella vita di questa gente, assicurandosi anche che quanto richiesto per il contatto-tour-ecc. resti in loco.

Collegare i territori visitati alla presenza di questa o quella etnia serve per capire la storia di quel luogo, la sua essenza, la sua “anima”, la sua cultura. Le modalità di viaggio nei vari territori sono influenzate inevitabilmente dall’approccio con le diverse etnie, in ogni campo dell’esperienza umana: dal cibo all’atteggiamento con cui ci si relaziona, dalla lingua alle usanze da rispettare. Teniamone conto.  

 

3) La storia dei territori attraversati

 

Dopo questo accenno etnografico, passiamo ad un argomento strettamente correlato al binomio popolazioni/territori. Non è possibile “vivere” un territorio, una regione e visitarli senza conoscerne, a vari livelli, la storia. Per un primo viaggio va bene una generale e non approfondita conoscenza degli avvenimenti principali svoltisi nei secoli in una certa area, ma, se si decide di viaggiare ancora e, a maggior ragione, di farlo in zone circoscritte, è indispensabile un approfondito studio della storia locale e dei suoi collegamenti con la situazione e l’evoluzione storica delle macroregioni limitrofe. Ovviamente tutto ciò richiede tempo e impegno “intellettuale” e si tratta di un compito da iniziare molto prima della partenza. Evidentemente un simile sforzo esclude a priori la possibilità del viaggiare “usa e getta”, che si collega a quel tipo di “viaggiatore” di cui ho già parlato, quello che diviene tale qualche ora prima della partenza e smette di esserlo al ritorno (chi si prepara mentalmente e materialmente poco prima e quando torna si rituffa subito nella solita vita e ciò che è capitato in viaggio lo lascia nel dimenticatoio).

Concretizziamo queste parole con l’esempio classico dell’esperienza tipica del viaggiatore in Siberia alla prima volta: viaggio lungo la Transiberiana. Ecco, direi che almeno una lettura di un mese circa sulla storia della conquista della Siberia e della costruzione della ferrovia è vivamente consigliata. Si può consultare l’archivio di solosiberia per trarre spunti bibliografici in questo senso. La saga dei cosacchi e della spinta conquistatrice russa verso est, il clima politico ed intellettuale  che portò alla costruzione della ferrovia più lunga del mondo, conoscere a grandi linee le vicende storiche delle zone attraversate, soprattutto dalla Siberia orientale fino al Pacifico: sono queste le nozioni di base che, se conosciute, rendono assolutamente più interessante e piacevole il viaggio stesso. Il paesaggio, le infrastrutture, le città e campagne che scorrono dal finestrino, assumono un valore nuovo e profondo se collegate a vicende storiche precise e interiorizzate da chi viaggia.

         Altro esempio eclatante a cui tengo particolarmente: la Kolyma, la strada delle ossa e la regione di Magadan. Purtroppo devo dire che la quasi totalità delle persone che ci vanno non conoscono né hanno pensato di approfondire la conoscenza della storia di queste terre, dimostrando pochezza d’animo e assoluta mancanza di rispetto. Non è possibile transitare sulla strada Yakutsk-Magadan senza sapere chi, come e quando ne iniziò la costruzione, quale fosse il tragitto originario (che non è quello attuale che passa per Ust-Nera) e quale fosse lo scopo di questa via di comunicazione. Tra una parte dei viaggiatori indipendenti, ci sono quelli indissolubilmente legati al viaggio “on the road” (auto, ma soprattutto moto, a piedi, in bici, ecc.) che percorrono migliaia e migliaia di km lungo le strade del mondo. La mia prima critica è generale: essendo legati alla strada, possono fare esperienza di un numero limitato di luoghi in tutto il mondo, poiché tanti altri non sono raggiungibili via terra attraverso una strada o pista più o meno decente e dunque sono esclusi a priori dalle loro mete. Quindi vedo come una limitazione il focalizzarsi per forza sull’uso di un mezzo per viaggiare, ma questa è una mia opinione personale e non me ne vogliano tutti i miei amici motociclisti, che sicuramente hanno una filosofia di viaggio e di vita interessante e hanno molto da dire. La mia seconda critica riguarda una dimensione intrinseca insita a volte in questi viaggi “on the road”: sembra che la cosa più importante sia andare dal punto A al punto B e quanti km si riescono a fare in un dato tempo. E tutto il resto? E i luoghi attraversati? E la gente, non quella incontrata nei punti di ristoro per strada, ma la popolazione locale, la sua cultura? Ci si passa sopra o accanto, come a qualcosa che sta sulla strada. Quindi niente approfondimento culturale, storico,ecc.

In casi come quello della “strada delle ossa” Yakutsk-Magadan non conoscere la storia dei luoghi e non fermarsi a riflettere adeguatamente su ciò che è stato e su chi ci è passato, per me è semplicemente immorale. Percorrere i km da Yakutsk a Magadan senza porsi domande se non quelle inerenti ai punti di rifornimento, alle condizioni della strada e ai luoghi di sosta, mi trova decisamente contrario. Esempio: andiamo allora tutti a fare un picnic ad Auschwitz, da qualche parte in una baracca rimasta, nel cortile magari ci sarà un po’ d’erba, altrimenti un posticino all’ombra penso che lo si trova, stendiamo un telo e iniziamo a gozzovogliare. Mentre beviamo e  mangiamo vediamo un binario che entra nel cortile attraverso una porta, e il cortile è tutto recintato, chissà perché, magari questa era una caserma per addestrare soldati una volta, ma stappiamo una birra e continuiamo il picnic. Ecco, questo chi lo farebbe? Diremmo che va bene andare ad Auschwitz e comportarsi così, perché “non lo sapevamo”? No, è un’ignoranza che non si può giustificare, vero? E allora lo stesso deve valere per la Kolyma e per quanto è in relazione con essa. Quanti sono passati a Debin, sul ponte sul fiume Kolyma, senza sapere la storia e ciò che è costato questo ponte??? L’ignoranza su ciò che è avvenuto laggiù, a maggior ragione per chi vuole andarci, non è scusabile. Personalmente mi spingo fino ad un’altra considerazione, più mistica, ma che è meglio non sottovalutare. Andare laggiù senza “avere coscienza” di quei luoghi può essere pericoloso da un punto di vista “spirituale” e misterioso. Chi passa senza il dovuto raccoglimento, chi calpesta il suolo senza rispetto per la memoria, chi si ferma magari a campeggiare su una terra grondante di sangue e sofferenza...può essere colpito da una maledizione, può cadere vittima del risentimento delle anime cadute in quei luoghi e venire punito per questa mancanza di rispetto. Non intendo vaneggiare o parlare di chissà quali fantasie, sto solo esprimendo un mio timore, una mia supposizione. Non andrei mai laggiù senza la giusta consapevolezza e senza rispetto, per il timore che un’energia negativa possa vendicarsi, punendo la mia “ignoranza” ed il mio comportamento immorale. Non sono un appassionato di fantasmi, magia o altro, ma intendo condividere con i lettori queste mie considerazioni personali.

Dopo questi esempi (Transiberiana e Kolyma) penso che si capisca meglio cosa intendo, quando affermo che uno degli aspetti da tener presente per il viaggio sia il conoscere la storia dei luoghi visitati. Senza un’adeguata consapevolezza degli avvenimenti storici, ogni luogo perde molto in particolarità ed interesse e non rappresenta un’occasione di crescita interiore.

 

4) Collegato al discorso delle nazionalità: la cultura con cui si ha a che fare e le sue varie sfaccettature

 

Qui non intendo scrivere quasi nulla sulle modalità con cui relazionarsi con le culture delle etnie diverse dai russi in Siberia, poiché non ritengo di aver ancora maturato abbastanza esperienze con popoli diversi da quello russo, per esprimere un valido parere. Ho avuto rapporti più che altro con buryati, evenki, yakuti. Tutti non vedono di buon occhio Mosca e il potere dei russi, soprattutto il potere centrale, non tanto i russi che vivono con loro nei loro territori. Comunque è da tenere conto di questa avversione nei confronti della “Russia imperialista”. Ricordate anche che per loro la prima lingua non è il russo o non è solo il russo e che parlare in russo è già per essi un rinunciare al proprio idioma natio.

         Veniamo al piatto forte: i rapporti con i russi. Premetto che, prima di iniziare a capire qualcosa di questo argomento e prima di iniziare ad intravedere una logicità, per quel che attiene ai rapporti con la cultura russa, all’interno delle esperienze maturate sul campo in Siberia, sono passati circa otto anni di viaggi. Ora, grazie anche a delle letture interessantissime sull’argomento (confronto e analisi della cultura occidentale da parte di un russo emigrato), posso permettermi di dare dei consigli utili. In viaggio in Siberia va costantemente ricordato che non ci si trova in Europa, non si ha a che fare, nella maggior parte dei casi, con persone che ragionano come a Parigi, Milano, Londra, Madrid, ecc. e, soprattutto, va ricordato che bisogna rapportarsi con la cultura russa e con tutte le sue sfaccettature. Ciò vale sia (in misura minore) per chi soggiorna nei grandi hotel, viaggia in taxi e mangia nei ristoranti lussuosi, sia (in misura molto importante) per chi viaggia in modo indipendente e libero tra autobus di linea, in autostop, in treno, dorme dove si spendono meno soldi, mangia per strada ai chioschi o nei locali alla buona, nelle mense e nei punti di ristoro lungo le strade. Alcuni motti che ho coniato e da tenere sempre presenti:

1) La Russia non è Europa;

2) la Russia asiatica non è Asia né Europa: è Russia (in generale), ma è Siberia in particolare (incluso l’estremo oriente russo);

3) la Siberia spesso non è Russia (Russia come la intendono a Mosca, S.Pietroburgo e altre poche grandi città, ma che sono la “vetrina” della Russia).

 

Tutto questo va comunque calibrato con quanto detto sopra, circa la generale omogeneità dei russi in tutto il territorio del paese. Non vi trovate? Faticate a vedere un senso logico in questo? Pensate che abbia detto tutto e il suo contrario? Bene, benvenuti in Siberia, benvenuti in Russia. Abituatevi. Lasciate la razionalità fuori da questo paragrafo e leggete i miei libri (non per un mio business di vendita, infatti potete anche leggerli gratis in pdf sul sito, ma per farvi “capire”).

 

Premessa sociologica personale: sono un pessimo italiano e anzi, credo che gli italiani non esistano e che il nome Italia individui solo una penisola al centro del Mediterraneo. L’Italia come nazione secondo la mia opinione non esiste (o non esiste ancora) ed è solo un insieme di regioni e di varie popolazioni. Non intendo con queste parole denigrare nessuno, ma solo esprimere le mie idee. Ho amici sparsi in tutta la penisola, ma li sento amici come altre persone che conosco in Russia, in Francia, ecc.ecc., non li sento “vicini” in un’ottica “nazionale”. Il mio substrato anarcoide certamente influenza queste mie convinzioni, che un po’ si legano al rifiuto di riconoscere legittimità all’esistenza degli stati, tra cui ovviamente l’Italia. Che c’entra questo con queste pagine sulla Siberia? C’entra perché nel vivere con i russi, nel rapportarmi con altre culture, nell’immedesimarmi in altri contesti e soprattutto nella tendenza ad analizzare rifiutando di giudicare altri usi-tradizioni-mentalità, emerge questo mio debole legame con quella che può definirsi “cultura italiana” e nelle righe che seguono il lettore potrebbe notarlo. Il mio punto di vista è, insomma, poco “italianizzato”. Cerco di evitare, quando possibile,  di dire “noi”-“loro”, oppure “da noi si fa così…”, “da loro…”, perché non sono, come detto, fortemente legato ad una presunta cultura italiana da difendere o da portare come esempio presso altri popoli. Forse non è vero che non sono legato alla cultura diciamo italiana, ma semplicemente non mi rendo conto di essere legato ad essa…in ogni caso cercherò di analizzare in modo “slegato” la cultura del popolo russo. Se qualcosa non vi piace, non vi convince, criticatemi senza indugio, mi serve per migliorare!

 

In viaggio in Siberia-Russia: relazionarsi con la cultura russa

 

La sfera psicologica

 

Le abitudini russe nelle relazioni interpersonali sono abbastanza diverse da ciò a cui siamo abituati. Esiste e si percepisce una generale maggiore “freddezza”, un distacco nelle relazioni tra persone, almeno al primo approccio o nel caso in cui non si sia in un gruppo di amici già affiatato. Esempio tipico: si entra in un negozio, piccolo, con cassiera-proprietaria o, se un po’ più grande, con alcune persone dietro ai vari banconi, in apparente attesa di clienti. Nessuno saluta o, se lo fa, pronuncia a denti stretti qualche sillaba a bassa voce, spesso senza nemmeno alzare gli occhi verso la persona appena entrata. Indicare ciò di cui si ha bisogno ad una commessa o depositare per il conto alla cassa la merce sembra sia uno strazio per chi lavora in negozio...nessun entusiasmo, nessuna “voglia” di soddisfare il cliente, che anzi cerca di fare il più in fretta possibile, per uscire e “levare il disturbo”. Le cose stanno cambiando e questa tipica scenetta di 10-15 anni orsono non è più onnipresente, soprattutto nelle grandi città, ma non è certo scomparsa e, rispetto a quanto avviene in Italia, è parecchio frequente.

Le persone quando si incontrano al lavoro, per strada, in negozio, tendono a non esibirsi in lunghe chiacchierate di cortesia, non si sorridono a vicenda “come idioti” (così agli occhi di un russo appare l’abitudine occidentale, ma in questo caso più che altro americana forse, di sorridere sempre e di salutare tutti). Esempio tipico sul lavoro: si arriva al mattino e si saluta tutti i colleghi, più o meno velocemente, ma un “ciao-buongiorno” lo si dice a tutti quelli che si vedono. In Russia no. Una persona cammina per l’ufficio, incontra questo e quello e non saluta obbligatoriamente, non per scortesia, ma perché scambiare solo un “ciao” e dileguarsi nei propri compiti non è contemplato come vero saluto, ma sarebbe solo una sorta di modo di dire “ti ho visto”. Qui (da “noi”) invece un saluto mancato spesso è interpretato come indizio di una giornata storta del non-salutante.”Perché Tizio non mi ha salutato?!” “C’avrà la luna storta, non sorride nemmeno!”. In Russia chi non saluta o non sorride (“come un ebete” direbbero i russi) al bar, al lavoro, al ristorante, non è arrabbiato con il mondo o scortese, semplicemente pratica differenti abitudini.

Ecco un’altra questione, magari più adatta da affrontare con chi vive in Russia e non tanto con chi viaggia ed è solo di passaggio, ma parliamone: domandare “come stai?come va?”. Qui (Italia, Europa) si usa spesso: “Ciao, come va?” “Bene grazie – e un sorriso”. In Russia no. Chiedere “come va?” implica un vero interesse nei confronti della persona con cui si parla, che quindi si deve conoscere bene e da cui ci si aspetta una risposta sincera ed un piccolo discorso. Un russo rimarrebbe stupito e storcerebbe il naso se una persona che si incontra raramente o addirittura un nuovo conoscente gli rivolgesse una tale domanda. Per noi è un semplice intercalare, non ci si aspetta niente di diverso da “tutto bene grazie” e via. Mentalità del russo: “Chi è questo qui che mi chiede come sto senza neanche conoscermi??”.

Altro piccolo esempio della dimensione della struttura mentale russa, in cui può facilmente imbattersi un viaggiatore: si incontra qualcuno in treno, in autobus e si fanno quattro chiacchiere, per alcune ore, magari si parla anche per un giorno, se il percorso è lungo e, quando arriva il momento di accomiatarsi, può capitare (non sempre però) che il russo al massimo digrigni tra i denti un frettoloso arrivederci e se ne vada, oppure non dica nemmeno una parola e sparisca. Non preoccupatevi, non avete fatto o detto nulla di male, semplicemente può capitare, è nella loro indole.

         Parecchie persone in Russia vedono l’occidentale come una sorta di stupido, che non se la sa sbrigare nelle varie situazioni della vita, perché abituato al vivere comodo e opulento dell’Europa. È più facile dimostrare a queste persone con i fatti che non tutti gli europei sono così, piuttosto che imbarcarsi in diatribe dialettiche che non convinceranno mai un russo cocciuto. Dunque conviene far vedere direttamente di cosa si è capaci, quando capita un imprevisto, e non perdersi in chiacchiere. Certo, chi rientra in quella fetta di bipedi europei davvero imbranati o smidollati, ha perso in partenza e verrà visto come una conferma dello stereotipo dell’occidentale viziato e incapace. Qui faccio una mia personale digressione: purtroppo è vero che nella nostra società tante persone hanno perso il cervello o l’abitudine ad usarlo e, a furia di tv e omologazione sociale, sono divenute dei” bio-robot” che riproducono comportamenti già attesi dalla società (per riprendere la definizione di un russo che conosco, che ha vissuto qualche anno a Parigi e poi è scappato in patria disgustato – l’autore del libro che infra pubblicizzo). Nella mia vita di tutti i giorni ho a che fare con persone ormai incapaci di sopportare qualunque minima avversità/difficoltà/incertezza, anche minime: quando una volta in trent’anni in Italia d’inverno si toccano i dieci gradi sotto, ecco gente smarrita e tremolante: “non si può sopportare…il riscaldamento tutto il giorno ci vuole…non vado al lavoro…ecc.ecc.”. Senza contare gli imbranati che riempiono le strade innevate e, non sapendo guidare, combinano solo guai salvo poi lamentarsi con le autorità per chissà quali motivi. Se c’è da salire una rampa di scale (una!) si prende l’ascensore, non esiste l’idea di “”fare fatica” (non per tutti, ma sicuramente per la maggior parte è così). C’è persino chi si lamenta (tanti!) del vitto dell’ospedale in cui lavoro, senza nemmeno pensare che al mondo sono tra la minoranza che ha addirittura la possibilità di avere cibo e di avere accesso a cure sanitarie!!! Blasfemi. Non parliamo dei viaggi in treno: non esiste, si usa l’aereo e deve pure spicciarsi. Fare più di due-tre ore di treno è considerato una pazzia da troppe persone, e lo dico per averlo sentito e visto personalmente, dato che di treni ho una certa esperienza. Al lavoro si va in auto, a piedi o in bici non ci va quasi nessuno, nemmeno se il luogo della fatica quotidiana si trova nella stessa città. “E se piove?” “Che paura…ci si bagna!!!!” rispondo!!!

Anche la manualità nella vita quotidiana è scemata (riparare rubinetti, cambiare lampadine, fare piccoli lavori in casa anche di muratura) e un russo non troppo acculturato partirebbe già mentalmente convinto sulle nostre non-capacità in tal senso. Il confronto tra le abitudini domestiche è poi, a volte, anni luce distante: tante persone con cui parlo non riescono a concepire di vivere in una casa senza acqua corrente né acqua calda, con il bagno all’esterno, senza riscaldamento e con le pareti di legno. In Russia fuori dalle città questa è la norma.

Ho scritto in maniera critica verso la “nostra” società non per partito preso, ma per cercare effettivamente di far notare delle cose che balzano agli occhi di chi, viaggiando, vede che esistono anche altri modi di vivere. Secondo me parecchie persone della società occidentale devono svegliarsi e cominciare a rinunciare volontariamente alle comodità superflue, altrimenti, con lo stile di vita che portiamo avanti, tra pochissimi anni saremo obbligati tutti a rinunciare a molto di più, poiché la natura ci sta già facendo pagare il conto e la resa finale è alle porte. Andare avanti così (auto, riscaldamento, uso energia elettrica smodato, consumo alimentare di troppa carne, inquinamento e gas serra…) è insostenibile e porta al suicidio.

Per quanto riguarda il viaggiare poi, un russo medio può adattarsi senza troppi sforzi e sopportare una miriade di difficoltà. Il turista, non viaggiatore, medio europeo cerca albergo, acqua calda, letto, ristorante o comunque un posto dove mangiare e soprattutto non ama i luoghi avulsi dalla presenza umana. In Russia ho capito tante cose e sono maturato molto nel campo del viaggiare “scientificamente”, come dice Anton Krotov. Bisogna saper viaggiare e non far spostare il corpo per centinaia o migliaia di km senza muoversi con la testa invece. La vita nella natura e il sapersela cavare in OGNI situazione è un’attitudine abbastanza sviluppata in Russia, anche tra la gente di città. Nei miei viaggi ho imparato a riconoscere e a capire come si sviluppa una propensione del popolo russo a sopportare le difficoltà senza piangersi addosso, cercando di superarle con le proprie forze. Senza approfondire il discorso particolare della sopravvivenza nella taigà o comunque in un ambiente naturale selvaggio/ostile, tutto questo si nota anche nel modo di viaggiare dei viaggiatori indipendenti russi. La pratica dell’autostop, molto diffusa in Russia (qui ognuno pensi come in Europa l’automobilista si rapporta con chi fa autostop…e quanto sia frequente trovare autostoppisti) e le diverse abilità “tattiche”, acquisite con l’esperienza, che plasmano il carattere e la mente del viaggiatore indipendente, sono caratteristiche molto diverse rispetto a quanto ci si può attendere da un backpacker europeo. Preciso che non sono in questo assolutamente da prendere in considerazione quei russi che si vedono da noi al mare o a spendere migliaia di euro nei luoghi più “alla moda”. Sto parlando del viaggiatore indipendente russo, non del turista grasso e intasato di soldi.

Una mia critica al viaggiatore russo, soprattutto a quello che si spinge nelle remote solitudini dell’immenso paese slavo, è rivolta alla loro tendenza, a volte, a crogiolarsi nelle avversità, come se “sempre più difficile” equivalesse anche a “sempre meglio”. Si può vivere nella foresta, navigare fiumi, scalare montagne anche ad un ritmo più lento, magari con una “comodità” in più (ad es. un vestiario più adeguato o una tenda più spaziosa) e soprattutto con una mentalità diversa: non attenta solo a quelle che sono le prove da affrontare, gli ostacoli da superare, ma anche alla bellezza dei luoghi attraversati, al fascino di un tramonto, alla riflessione su questioni metafisiche.

 

Ultima riflessione e mia provocazione: i russi (non me ne vogliano gli ucraini se qui li accomuno ai russi per semplificare il discorso) hanno combinato il disastro di Chernobyl e i russi, in qualche maniera, sono corsi ai ripari e ne sono usciti (se così si può dire). Nella loro maniera un po’rozza ma tendenzialmente efficace hanno costruito il sarcofago che impedisce al materiale radioattivo di diffondersi ulteriormente nelle campagne. Gli uomini che hanno costruito il sarcofago sono morti e probabilmente sapevano anche che rischi correvano (non lo dico con certezza, lo suppongo). Questa è una di quelle situazioni in cui in Russia bisogna fare qualcosa e, non importa come, ma si fa, il risultato deve essere raggiunto. Una caratteristica del popolo russo è quella di sapersi immolare in certe circostanze. E, per quanto concerne Chernobyl, dobbiamo ringraziarli.

Collego questa vicenda nucleare ad un’altra più recente: quella giapponese di Fukushima. Nella centrale costruita là dove non si sarebbe mai dovuto costruire, dove nessun essere intelligente l’avrebbe mai costruita...hanno mandato dei robot a fare delle misurazioni ecc.ecc.. ma degli uomini a spegnere l’incendio, a quanto mi risulta, non sono andati. I giapponesi non si sono immolati e sono rimasti a guardare le radiazioni che si diffondevano (e che si diffondono) nell’oceano Pacifico. I giapponesi non si sono sacrificati. Voglio riportare i commenti di un’anziana (72 anni) signora russa, che ho conosciuto a Mosca ad una serata dell’Accademia dei viaggi indipendenti, sulla vicenda di Fukushima. “Ma come si fa a costruire una centrale nucleare in riva al mare, in una paese sismico e pure a rischio tsunami??! Come fa una persona intelligente a pensare questo?”. Questa frase mi ha colpito in quel momento, mi ha lasciato di stucco, perché nella sua semplicità è perfettamente essenziale e coglie nel segno più di mille discorsi, in una parola è una frase saggia. Eppure anche di fronte a tanta idiozia, i giapponesi si sono tirati indietro, senza prendere le loro responsabilità.

 

Tutto quanto scritto in questo paragrafo è solo una minima infarinatura, sarebbe necessario un intero libro per provare a descrivere l’animo russo. Sui rapporti tra mondo occidentale e mondo russo suggerisco la lettura dell’illuminante libro di Sergej Zubtsov “Kak zhit v zapadnoj Evrope” (in russo, lo si può richiedere a me o si può trovare nella Casa per tutti europea della russa Accademia dei viaggi indipendenti, che sarà organizzata in Europa nel 2014).

 

Gli aspetti socio-culturali nella pratica

 

Approfondiamo ora nel concreto gli aspetti pratici, da considerare nella vita di tutti i giorni quando si viaggia.

 

Aspetto fisico, vestiario, atteggiamenti:

Non girate per la Siberia vestiti secondo qualche eccentrica moda europea o simile (ad es. no dreadlocks, meglio no capelli lunghi per i maschi, mentre le donne vedano di vestirsi come donne e non come maschiacci come spesso fanno qui). Siamo alle solite: può non succedere nulla in 9 casi su 10, ma è meglio cautelarsi e non attirare attenzioni non volute giusto? La xenofobia in Russia, come ovunque nei paesi europei, è in aumento e bisogna considerare il fatto che, in ogni caso, sempre uno straniero è individuato come tale, anche se non dà nell’occhio, dunque meglio in ogni caso limitare la propria “esotica” visibilità. Nessuna paura, gli incontri con i russi sono al 90% amichevoli, ma in dieci anni di viaggi ho personalmente vissuto un certo numero di esperienze non piacevoli e scrivo queste righe per “avvisare”.

Nelle stazioni, sui treni, sugli autobus, non parlate ad alta voce, non fate “caciara”, non è un costume usato in Siberia/Russia. Parlate sottovoce, non muovetevi freneticamente a fotografare, evitate comportamenti che attirano l’attenzione. Nell’ambito del galateo locale, non vi è posto per la nostra abitudine di soffiarci il naso: è considerato un brutto gesto, volgare (come se da noi una persona a pranzo espellesse il catarro sputandolo in un piattino sul tavolo). Dovete soffiarvi il naso? Andate in bagno e comunque evitate di farlo davanti a tutti e in modo rumoroso.

Se entrate in una casa, appartamento, se siete ospiti di qualcuno, ricordate di togliere le scarpe all’ingresso, non è assolutamente concepibile girare per casa con le calzature che si usano per strada. Potete anche camminare solo con le calze, non servono per forza delle ciabatte, ma con le scarpe non potete!

 

Brindisi e bevute: l’alcool!

Non si può tralasciare l’argomento rapporti con l’alcool. Spesso capita di trovarsi di fronte a persone che offrono da bere ed è meglio sapere alcune cose al riguardo, per non partire sprovveduti. La regola d’oro sarebbe questa: non bevete con nessuno, non ubriacatevi ed evitate le situazioni ad alta gradazione alcolica. Questo è suggerito direttamente dai russi, che però vedono le cose a modo loro. Per la mia esperienza, come straniero riuscire a scansare a priori ogni situazione simile, ogni bevuta, ogni offerta di liquidi inebrianti…non è possibile. Non rifiutate di bere a priori, è molto offensivo per un russo. Si può dire con fermezza che si intende bere un bicchiere proprio per rispetto nei confronti di chi offre, ma non oltre…ma anche questa opzione non è sempre praticabile. Nella maggioranza dei casi, quando si apre una bottiglia di vodka, la stessa va finita, indipendentemente dal numero dei partecipanti al “banchetto”. Quando si è in due, l’impresa di svuotare la bottiglia da 40% inizia a farsi sentire. Dico che non si può sempre rifiutare di bere, perché a volte mi è capitato che l’offerta di alcool venga fatta come sorta di sfida: “vediamo lo straniero se ce la fa a bere, vediamo se è un uomo” e opporsi all’invito può creare delle incomprensioni o peggio. Quindi sta al sesto senso del singolo viaggiatore capire quando si può rifiutare e quando invece è meglio sacrificare parte del proprio fegato per “fare amicizia” o per non far peggiorare la situazione. Ci sono purtroppo dei casi limite, vissuti anche da me direttamente, in cui rifiutare da bere è moolto difficile, ma bere e soprattutto far continuare a bere chi ci sta di fronte è pericoloso e sconsigliato. Come si fa allora? Bisogna barcamenarsi alla meglio e sperare...e in queste situazioni è importante il contesto: presenza di altre persone, luogo (treno, nave – qui è impossibile come alternativa andarsene! - mensa, bosco…), orario. Dunque non bevete a casaccio con chiunque: se bere può servire come estrema ratio per fare amicizia e conquistare un minimo di fiducia, bevete, altrimenti può essere peggio. Come comportarvi ve lo dirà appunto un vostro sesto senso da viaggiatore esperto, se non siete viaggiatori esperti evitate per quanto possibile certe situazioni (ad es. in treno viaggiate in vagoni kupè, dove è più tranquillo). Soprattutto nella Repubblica di Tuva e di Sakha non bevete mai con la gente locale (tuvintsi e yakuti), perché diventano degli animali violenti e non potrete mai capire fin dove osano spingersi. La sera, in queste repubbliche, se non è necessario non uscite, ma questo è un mio consiglio personale, non spaventatevi.

Quando si beve è importante, dato che molto spesso si beve vodka, ricordarsi di accompagnare ogni bicchierino con una tartina, un pezzo di pane e cetriolo, un pezzo di lardo, insomma del cibo che serva a rallentare l’assorbimento dell’alcool nello stomaco. Mangiate cibi grassi e unti, sono i migliori per questo scopo. Ogni bicchierino versato è, quasi sacralmente, sempre accompagnato da un brindisi per qualcuno o per qualcosa. È un’usanza interessante e diffusa ovunque, non si beve praticamente mai senza dire per chi o per cosa e ogni volta si alzano i bicchierini e si fanno scontrare tra loro come nei classici brindisi. Ricordate che un russo può bere almeno tre volte di più di un europeo meridionale e il doppio di un europeo settentrionale e non è assolutamente pensabile misurarsi in assurde gare con loro.

Bere sui treni, nelle stazioni e per strada è vietato dalla legge. La polizia non tollera la vista di persone che bevono e può essere molto rude. Per strada mi hanno spiegato che non è vietato bere in maniera assoluta, ma non si può bere da contenitori dai quali si capisca che si sta bevendo alcolici (se si vuole bere una birra, basterebbe coprire la bottiglia con un sacchetto, così non si fa vedere alla gente che si sta bevendo birra…questa è la teoria). Nelle stazioni non bevete mai nulla (compresa birra) per nessuna ragione, la polizia è lì appunto solo ad aspettare di pescare qualche rimbambito che beve davanti a tutti. Nei pressi delle stazioni non bevete mai. Sul treno non si può bere vodka, ma in teoria anche la birra non è ben vista, anche se tutti bevono e si può comprare birra dal provodnik di ogni carrozza, se intende venderla, perché a volte squadra la persona con cui ha a che fare e non le vende alcolici. Al vagone ristorante si può bere vodka e anche comprare intere bottiglie. Complicato vero? Insomma regolatevi in base alla realtà di ogni situazione. Sapendo che, in teoria, non si può bere.

 

Città e “campagna”

Meglio non andare in città sotto i centomila abitanti da soli, senza conoscere gente del posto o senza essere in compagnia di altri russi. Questo non vale per i posti turistici (ad es. Listvyanka sul Bajkal è un piccolo paese – per ora… - ma essendo un luogo turistico, non presenta profili di difficoltà come gli altri piccoli paesi). In una grande città posta lontano dalla Russia europea si è comunque quasi sempre individuati come stranieri, in un piccolo paese proprio non c’è verso di passare inosservati e le attenzioni suscitate possono essere di varia natura. Rispetto per le persone del posto e comportamento che non dà nell’occhio sono due caratteristiche fondamentali. Alcuni elementi che subito identificano lo straniero (in questo caso occidentale) e che spesso non sono visti di buon occhio, sono relativi ad attributi esteriori individuati come tipici per il “turista scemo” dell’Europa o americano: pantaloni corti per  i maschi, zaino in spalla (in Russia la maggior parte della gente si muove con borsoni, non con zaini), occhiali da vista, macchina fotografica...ora li sapete, provate a camuffarvi un po’, giocando a nascondino per quanto possibile...

Nei piccoli paesi e nelle zone più lontane e dimenticate si deve stare attenti, ma senza diventare paranoici. Non allontanatevi dalle grandi città senza sapere bene il russo e cercate di stare con amici (amicizie già collaudate, non improvvisate per strada) russi o, ancor meglio, russi del posto in cui siete. Le difficoltà maggiori in genere vengono da incontri con alcolisti, teppisti (parlerò più avanti di questa categoria), vagabondi disperati, ladruncoli, poliziotti e persone legate all’amministrazione (guardie di parchi nazionali, funzionari di vari ministeri, guardie di confine). Il rischio che la vostra faccia possa diventare bersaglio, senza motivo (solo per il fatto che non siete di quel posto!),  per i pugni di qualche svalvolato è comunque inferiore alla possibilità di incontrare qualcuno di buon cuore che vi mostri il paese e vi trovi una sistemazione, a patto che parliate russo, non diate nell’occhio in maniera stravagante e non disturbiate la gente del posto. Muoversi con una persona del posto in un paesino è, però, assolutamente raccomandato. Da soli non andate in giro, evitate problemi. Comunque queste eventualità potranno sorgere a partire dal terzo, quarto o quinto viaggio in Siberia ed anzi deve essere così, non ha senso né è una possibilità reale trovarsi in un paesello senza la giusta “esperienza sul campo”. In pratica non ci arriverete nemmeno in certi posti se siete ai primi viaggi. Se invece avete idea di farlo senza la giusta “preparazione”, ecco ve lo sconsiglio caldamente, anche perché non capireste nulla di ciò che avete attorno (non dico per la lingua, ma per tutto il contesto storico, sociale, economico ecc.) e rovinereste, con i vostri errori, anche la reputazione dei viaggiatori che verranno dopo di voi. Chi non ha viaggiato a fondo in Siberia non immagina nemmeno che in certi paesini vive un mix di alcolisti, ex detenuti, pensionati, piccoli criminali e gente normale che non ha alcun interesse ad aiutarvi o magari vi aiuterà in maniera lodevole, ma chi può saperlo? Anche alcune guide della russa Accademia dei viaggi indipendenti sconsigliano di visitare certi luoghi. Chi non conosce a fondo le realtà delle singole regioni a volte apre una carta, la guarda, traccia un itinerario di fantasia e dice “voglio andare qui!”, alla mia domanda “perché proprio qui?” alcuni rispondono con colpevole ignoranza: “non so, è un posto isolato, vediamo com’è la vita là”. Agghiacciante superficialità. Se vi riconoscete in questa mia descrizione, evitate di contattarmi o fatelo solo se avete capito di aver sbagliato e avete maturato idee più intelligenti.

Ricordate anche che per un russo la propria nazione, il proprio paesello, la propria regione è come un mistico luogo da custodire e preservare, da mostrare con orgoglio e di cui essere fieri. Le critiche, le lamentele, le peggiori affermazioni che un russo può esprimere sulla nazione o sul luogo natio non vanno comunque prese come motivo di ripudio delle proprie radici, che anzi non sono mai in discussione in Russia. Ecco una grande differenza con l’Italia (che per me, come detto, non esiste): i russi usano sempre il termine “i nostri”, per individuare i propri connazionali rispetto agli stranieri, sia in patria che all’estero. “I nostri” hanno vinto x ori alle Olimpiadi; ho visto per strada “i nostri” a Rimini; “i nostri” non si fermano al secondo bicchiere e così via, con esempi positivi o negativi non ha importanza, ma si usa sempre l’aggettivo “i nostri” per individuare chi fa parte del popolo russo. Da “noi” in Italia non capita mai questo, per ovvie ragioni storiche. Un napoletano se incontra due tizi di Bergamo (e viceversa) a Parigi, dirà “ho incontrato i nostri”??? Oppure questa è solo una mia opinione personale?! Fatemi sapere, scrivetemi i vostri pensieri.

Quindi per quanto un russo parlerà male dell’ubriacone che ha di fianco in treno, di uno che gira per strada con aria strafottente, di un politico ladro, fate attenzione a non esagerare ad esprimere commenti simili nei confronti di queste persone, né ad intraprendere qualche azione troppo azzardata, perché la persona con cui avete a che fare è sempre un russo e non potete mancargli di rispetto oltre un certo limite, altrimenti cadrete voi dalla parte del torto, perché state trattando male un russo davanti ad un altro russo, stimolandone i sentimenti nazionalisti.

 

Lingua

Studiate il russo. Fate un corso che vi permetta di parlare almeno in modo basilare. Se siete svegli, come tempistica un anno scolastico dovrebbe bastare, ma dovete studiare e fare gli esercizi che vi dicono tra una lezione e l’altra, non aprire il libro solo a lezione. Non volete studiare il russo? Allora come minimo imparate bene l’alfabeto, ci vuole una mezzora, così saprete leggere almeno. La conoscenza del russo va di pari passo con ciò che riuscirete a fare come viaggiatori indipendenti: meglio sapete la lingua e più riuscirete a vedere/fare/scoprire in Siberia. Si può anche programmare di spendere alcuni anni per approfondire la conoscenza della lingua, frequentando corsi (serali/diurni, come volete) fino a perfezionare grammatica, sintassi e possesso della lingua in questione. A Firenze l’associazione O.T.R.A. (di cui fa parte solosiberia.it) organizza corsi di russo apposta per viaggiatori indipendenti,ma, rispetto ad altri corsi, integra l’insegnamento della lingua con seminari su cultura, storia e soprattutto pratica del viaggio in Russia e in Siberia! www.otraweb.it

 

Sbirri – registrazione del visto – zone di confine

Diffidate della sbirraglia e di ogni divisa, come in ogni parte del mondo del resto. Alle frontiere, ad es. se si viaggia in auto o treno per entrare/uscire dalla Russia, potrete essere a volte al centro di attenzioni particolari delle divise, intenzionate a spillare soldi agli stranieri. Restate calmi e, se sapete di essere in regola, non avete da temere. Non subite supinamente e non date soldi a questi individui, ma nemmeno mostratevi sbruffoni e non provocate inutilmente, alla fine il coltello dalla parte del manico è loro. Ricordate che in uscita/entrata da un paese all’altro in treno (es.confine Europa-Ucraina e poi Ucraina-Russia) ci sono 2 coppie di controlli: prima controllo di polizia in uscita e controllo doganale in uscita, poi controllo di polizia in entrata e doganale in entrata. Materialmente passano quindi i poliziotti dello stato da cui uscite, poi i finanzieri dello stesso stato e poi entrambe queste figure per lo stato in cui entrate. Se viaggiate in aereo tutti questi controlli esistono, ma sono molto più “morbidi”. Ricordatevi che in Russia, dunque anche in Siberia, dovete registrare il visto per ogni città che visitate e per farlo avete 7 giorni lavorativi di tempo. La registrazione si fa direttamente in hotel, se l’albergo è di grado medio-alto; oppure presso il servizio immigrazione della polizia se non avete un hotel o se è un hotel che non fa questo servizio. La registrazione per legge è obbligatoria e non averla significa una multa ad un controllo di polizia. Quindi se capita che non avete una registrazione per tutti i giorni in cui siete stati in giro per la Russia, siete potenzialmente a rischio multa, dunque cercate di evitare la polizia. Conservate tutti i biglietti di treni-aerei-battelli ecc. che dimostrano che durante alcune notti eravate in viaggio, possono chiederli sia i poliziotti, sia spesso gli stessi hotel prima di accettarvi. Se non avete tutte le registrazioni o tutti i biglietti che provano dove eravate ogni notte, gli hotel possono rifiutarvi, a maggior ragione nei posti più lontani dalla Russia europea. Per accogliere gli stranieri in albergo esiste una procedura differente rispetto a un cittadino russo e se gli impiegati devono anche muoversi dalla reception per andare a farvi la registrazione, bè…è possibile che rifiutino di accogliervi e inizino a mettervi i bastoni tra le ruote per farvi andare via, così da evitare problemi e ulteriori incombenze (e continuare a sonnecchiare tranquilli al banco della reception). Mettersi a gridare, fare confusione e strepitare non vi serve, sarà utile solo per stigmatizzare ulteriormente la figura dello straniero borioso e stupido e ricadrà negativamente sui prossimi stranieri che passeranno in quel posto. Quindi se volete convincere un impiegato ad accogliervi, parlate in modo tranquillo (in russo, ecco perché vi serve saper parlare!), spiegategli la situazione e non andate fuori di testa. Nei miei viaggi spesso non ho la registrazione, non perché mi diverto a non averla, ma perché per vari motivi sono impossibilitato ad ottenerla, ma non ne faccio un dramma e, cercando di mascherarmi il più possibile tra i russi (cosa molto difficile e che comunque richiede anni di esperienza). Per prima cosa cerco di evitare controlli e, nel caso un poliziotto mi fermi, molto spesso non si interessa della registrazione, ma guarda il visto e fa qualche domanda generica…e rispondendo bene in russo, il discorso può anche virare in una simpatica conversazione e lasciare tutti contenti, ma senza sapere il russo qualunque vostra risposta non verrà compresa e non lascerà soddisfatto lo sbirro, che potrebbe decidere di andare un po’ più a fondo, o magari no, dipende dalla fortuna.

La normativa sulle registrazioni cambia spesso ed è volutamente nebulosa e contraddittoria, con zone grigie lasciate all’interpretazione sbirresca. Sappiatevi regolare alla meglio e benvenuti in Russia!

In uscita alla frontiera nessuno vi chiederà nulla sulle registrazioni e quindi in ogni caso uscirete tranquilli.

         In tutto il territorio della Russia esistono le cosiddette “pogranzony”, cioè le zone di confine a regime speciale, il cui accesso è regolato da precise e specifiche regole. Per accedervi è necessario un permesso speciale oltre al visto ed i controlli sono seri e le conseguenze anche, e spaziano da una multa all’arresto e alla detenzione pre-espulsione, fino all’inserimento in una lista nera di persone a cui non sarà mai più concesso il visto russo. Qui c’è poco da scherzare. Spesso i controlli non ci sono nel punto di ingresso della zona di confine, ma ci sono nel punto di uscita (città, strada, aeroporto, stazione fluviale, ecc.). Le zone di confine in Siberia occupano territori vastissimi, ma che un vaggiatore indipendente difficilmente raggiunge nei suoi primi viaggi. Indicativamente si può dire che tutta la costa artica della Russia è zona di confine, partendo dalla penisola yamal e dalla regione autonoma yamalo-nenetskij (Salekhard, Nadym, Novyj Urengoj) per giungere alla Chukotka (che è interamente zona di confine). Dunque è compresa tutta la Yakutia settentrionale, il Tajmyr (Dudinka e Norilsk comprese, incluso il plato Putorana), le zone artiche tra regione di Tyumen-Yugra e il fiume Yenisej. A sud alcune zone di confine tra Kazakistan e Russia, e tra Mongolia e Russia. Alcuni punti meridionali della costa di Sakhalin e tutte le isole Kurili. Non intendo fornire qui un elenco esaustivo, è meglio informarsi di volta in volta e per ogni regione. Il permesso speciale si ottiene presso l’ufficio dell’FSB del capoluogo della regione interessata. Per gli stranieri c’è da aspettare circa 3 mesi per ottenere la risposta.

 

Gopnik

In Russia e nelle zone più isolate ancor di più (quindi a maggior ragione per la Siberia), il viaggiatore indipendente deve considerare la presenza di quelli che in russo sono definiti “gopniki”. Sono dei ragazzi di bassa estrazione sociale, che a gruppetti o anche da soli si possono incontrare ovunque, nelle città, sui treni, per strada, e sicuramente nei piccoli paesi. Chi sono, cosa rappresentano, meglio evitarli o no? Come comportarsi?

Quello che sto per dire rappresenta chiaramente la mia opinione personale, oggettivizzata però da 10 anni di viaggi indipendenti in Siberia in ogni dove, dalla conoscenza e amicizia che mi lega a molti russi di ogni estrazione sociale, dalla buona conoscenza della lingua russa che mi permette di parlare con chiunque senza filtri, dalle decine di libri russi letti riguardanti il tema del viaggio e dall'esperienze accumulate con la gente dell'AVP (Accademia dei viaggi indipendenti) che in Russia è un importante punto di riferimento nel campo dei viaggi e anche per quanto attiene all’approfondimento di argomenti socio-politico-religiosi.
Iniziamo: assolutamente eliminiamo ogni identità politica da questo termine. i gopniki non hanno nessun riferimento/connotazione politica. Possiamo dire che sono quelle persone (ma non solo i giovanissimi teenager o giù di li), al 90% e più maschi, che costituiscono in Russia un sottobosco sociale indefinito in cui si coagulano gli individui che "non hanno di meglio da fare", non lavorano (ma non è una caratteristica essenziale del gopnik), vivono in una parte della società legata a concezioni nazionaliste e tradizionaliste, ma non nel senso politico, più in un senso "locale"(poi spiegherò meglio) e che certamente non ha un ampio bagaglio culturale e non dispone di orizzonti mentali vasti. Come si vede, la categoria è alquanto fluida. i gopniki possono trovarsi in città come in campagna, ma è nelle zone rurali, isolate e più lontane dalle città o dalle direttrici di traffico che si può incontrare di più questa presenza locale. Nei piccoli paesi la questione può essere seria, questi ragazzi, uno, tre, dieci, ma che non necessariamente girano in gruppo, possono "fare ciò che gli pare" nel proprio paese senza che nessuno pensi troppo a tenerli a bada. La sbirraglia ha cose magari più importanti a cui prestare attenzione (o magari non ha voglia di fare nulla, finchè ci scappa il morto, e succede, non è fantasia). la gente comune, pur non considerandoli un buon esempio, a volte può sorridere davanti ad ogni tipo di bravata, come se si trattasse di prove di forza tra uomini (un mio amico di 50 anni dice: "Da me c'è stato un ragazzo brasiliano per 1 mese, una roba di scambio di studio o simile. Non mangiava nulla di russo e non parlava la nostra lingua. Stava sempre al pc tutto il tempo a casa e non usciva per il freddo. ‘sto invertebrato poi ha trovato un
fast food - la città è quasi di 1 milione di abitanti - e andava spesso là a mangiare porcherie, per alcuni giorni di fila, finchè qualche gopnik russo non l'ha notato e l'ha preso a pugni in faccia. È tornato a casa con il muso sanguinante quel deficiente eh eh!"). Da questa storiella si capisce come spesso vengono viste queste vicende dalla gente.  Nei paesi piccoli (sotto i 50.000 abitanti, e a maggior ragione per villaggi & company) la questione non va sottovalutata, perchè basta una volta che succeda una cosa seria e che si fa? Indietro non si torna. Questi ragazzi spesso sono in conflitto con chiunque venga da fuori, inteso anche come abitante del paese vicino, figuriamoci uno straniero, che poi in genere non parla russo, non si comporta come un russo nè cerca di farlo e, purtroppo, cerca di vivere un po' come a casa sua senza rispettare i costumi del luogo (si soffia il naso in pubblico, non mangia nè si veste come i russi, parla ad alta voce ad es. in treno e tante altre cose) (a questo proposito non capirò mai bene chi va in Russia o comunque all'estero e beve coca-cola, cerca la pasta, la pizza, qualcosa di simile a ciò che fa e mangia a casa). Queste cose vengono notate. Personalmente ovunque vado mi adatto a qualunque situazione mi si pari innanzi (quando saranno online, vedrete le foto dell'acqua marrone che ho bevuto per dieci giorni quest'estate 2012. Non per vanto o perchè son andato a cercarmela, ma c'era quello, e quello sia). Sul mio sito nei miei appunti si può leggere alcuni episodi capitatimi con dei ragazzi più o meno “gopniki”, ad es. appunti 2009-2010 dal capitoletto "sverdlovsk" in poi oppure verso la fine da “daniele vivacizza il viaggio”, o ancora appunti 2007 "lame" e "bam". In Yakutia ci sono i "sakhaliari", giovani che vivono nei villaggi attorno alle città e che arrivano in città al fine settimana per bere e altro. Ecco, anche la popolazione locale sa che è meglio stare alla larga da queste persone in Yakutia.
Non mi sta bene che dall'argomento di un viaggio siamo finiti a parlare di questo come si fa in televisione, cioè tra 99 cose belle, si parla di una brutta....
però mi premeva puntualizzare, perchè anche questo fa parte del viaggio, soprattutto in certi posti del pianeta. Non sono parole mie, ma di un russo espertissimo viaggiatore: in tantissimi paesi del mondo quando si viaggia (come locali o come stranieri) non si trova spesso ostilità, ma in Russia e diciamo nell'area ex-Urss è diverso. La gente è più dura, c'è più tensione e si avverte a volte che può succedere qualcosa.

Per la categoria “gopnik” vedo personalmente bene definire queste persone in una parola come: "disadattato" o "teppista" oppure con più parole: "disadattato/teppista socialmente nocivo" oppure "disadattato xenofobo e tendente al crimine". La dedizione all’alcool e a qualche tipo di droga è compresa nel bagaglio di questi personaggi. Comunque sia, le parole che ho sopra elencato devono essere considerate scevre da ogni connotazione politica.
Disadattato è un buon termine onnicomprensivo e copre tutti i casi, sia di quelli che sono al confine tra “bomzh” (senza fissa dimora) e “gopnik”, oppure rende anche l'idea di quelli che semplicemente negli anni dell'adolescenza si fanno trascinare da qualche cattiva compagnia e poi finiscono lì di importunare gli altri, oppure quei veri paria sociali che rientrano nella categoria dei "vinti" di Verga e che scaricano la loro rabbia per il tipo di vita che fanno su chiunque capiti; poi disadattato va bene anche per la categoria “gopnik” dei culturalmente limitati, che vedono come una minaccia da eliminare ogni essere differente dalla loro cultura genericamente russa o dalla loro sub-cultura locale (es. i sakhaliari descritti da Jeffrey Tayler nel libro "River of no reprieve" che parla di un viaggio lungo la Lena).
A me poi piacerebbe denifirli, utilizzando un linguaggio un po' più complesso per riferimenti "letterari", come:"bravi senza padrone nè onore".

5) Il proprio carattere e le attitudini socio-politiche

 

Non possiamo prescindere da come siamo interiormente formati e di questo va tenuto conto durante un viaggio indipendente. Per assorbire l’identità dei luoghi, delle persone e della cultura incontrati, l’ideale sarebbe avere un carattere disponibile, aperto, influenzabile e “spugnoso” nei confronti delle sollecitazioni esterne. La disponibilità e la possibilità di capire altre usanze, altre mentalità, altre “anime” del mondo dipende proprio da come è stato forato il nostro carattere, che si riflette sulla nostra personalità, che poi è la dimensione concreta con cui ci relazioniamo con l’esterno. Quante volte ci siamo accorti di come due persone, viaggiando negli stessi luoghi, “vedano” in maniera diversa ciò che gli sta attorno. Sono due modi diversi di interpretare la realtà circostante, due modi di scambio tra la realtà che ci circonda e la nostra interfaccia interna, che filtra le informazioni prima di farle passare al vaglio e al giudizio della coscienza. In una palude infestata di zanzare Tizio esclama: “È orribile, non sopporto questa terra, non vedo l’ora che finisca tutto questo!”; nella stessa situazione Caio gongola: ”Questa è una vera sfida! Così avanzavano i Cosacchi nella conquista della Siberia! Anche così si dimostra di essere uomini veri!”. Il carattere si forma nell’infanzia ed in età giovanile, qualche angolo poi si potrà smussare, ma l’impianto di base rimarrà immodificabile, quindi nei viaggi bisogna considerare questa propria caratteristica intrinseca così com’è e non pretendere di modellare sé stessi attorno al viaggio da fare, ma piuttosto capire se il viaggio che si va ad affrontare sia quello giusto per il proprio carattere. 

Oltre alla dimensione caratteriale, non vanno trascurate le attitudini sociali e politiche in senso lato. Coerentemente alla propria provenienza e formazione socio-culturale ognuno porta con sé un bagaglio con cui si rapporta con chi incontra e con le varie situazioni da affrontare. Qui ad esempio emerge il discorso del relativismo culturale, dell’imprinting inculcato in ognuno di noi dalla società “madre” e poi modificato dalle proprie convinzioni, attitudini, esperienze e dalla formazione culturale personale individuale. Da queste basi si possono comprendere i raffronti tra “noi” e i vari “loro” che si incontrano in un viaggio. Meno è presente il “noi” come punto di riferimento e metro di giudizio nel relazionarsi con gli altri e più è possibile approfondire ed interiorizzare valori diversi da quelli con cui siamo cresciuti. Le attitudini politiche possono dividersi in profonde e superficiali: le prime sono, a mio giudizio, quelle più vere, legate alle idee di fondo sulla visione della società, quelle che presuppongono un’analisi valida ed intima della collettività umana (politica intesa nel senso che è attribuito a questo termine nell’antica Grecia). Le attitudini politiche superficiali rappresentano invece le convinzioni attuali di una persona, il riconoscersi in certi movimenti, partiti, dominati da interessi particolari e senza una visione globale dell’esperienza umana: queste ultime possono rappresentare un ostacolo all’apertura mentale per intraprendere un viaggio e rischiano di essere una barriera all’apprendimento spontaneo da altri gruppi di persone.

 

6) La disponibilità a decolonizzare il proprio immaginario e aprirsi ad altri valori e tradizioni

 

Questo punto è correlato a quelli precedenti, ma l’ho volutamente lasciato a sé, per specificarlo meglio. Cosa significa “decolonizzare il proprio immaginario”? Mi pare sia un’espressione creata da Z. Bauman in uno dei suoi saggi sociologici, ma non ne sono sicuro. Decolonizzare il proprio immaginario significa essere pronti e preparati a compiere un’operazione che investe in maniera totale tutti quelli che sono i nostri punti di riferimento ideologici, i nostri valori, le nostre posizioni sociali e politiche in senso lato; mettere in discussione/azzerare tutto per liberare la mente ed essere pronti ad approcciarsi in maniera veramente libera non solo ad un’altra cultura, ma anche ad altri valori probabilmente diversi dai nostri. La nostra mente, liberata da quelli che possono essere falsi miti o visioni scorrette, inculcate dall’esterno in maniera subdola (pubblicità, condizionamenti sociali e religiosi), con un grande sforzo crea una tabula rasa su cui gettare le basi per un possibile (non obbligatorio) rimescolamento delle carte che culmina con una ricostruzione della struttura dei valori di riferimento. Questo processo non “serve” per viaggiare, o meglio non è solo legato alla tematica del viaggio, si può decolonizzare il proprio immaginario anche solo per vedere la realtà delle cose nella maniera più giusta possibile (cioè senza condizionamenti) senza muoversi da casa. Rimane il fatto che chi è in grado di decolonizzare il suo immaginario è anche meglio predisposto a lanciarsi in maniera “pura” verso un mondo nuovo, come può essere la realtà incontrata in un viaggio attraverso culture “altre” rispetto a quella di provenienza. L’ideale, nella mia visione, sarebbe una pura e genuina commistione dei valori intrinseci e primordiali dell’umanità con quei valori cresciuti e maturati con l’evolvere delle diverse culture e che, per molte ragioni (barriere linguistiche, ideologiche, geografiche, storiche), non arrivano alla disponibilità di ogni individuo durante la vita. La sfida è quella di scovare il meglio in ogni società umana e cercare di amalgamare questo tesoro di saggezza per inserirlo nel contesto della nostra coscienza, preventivamente liberata dalle impurità dannose. Anche i libri di Hakim Bey (T.A.Z.; Le repubbliche dei pirati; Millennium) permettono di giocare con la propria psiche per capire cosa significhi liberarsi dalle impurità e decolonizzare il proprio immaginario.

 

 

7) L’importanza che si dà al viaggio intrapreso e, parallelamente, quanto si è disposti a adattarsi (in ogni campo) per portarlo a termine

 

Siamo alla fine! Al termine di queste mie elucubrazioni mentali, scaturite sia da miei input interni, sia dalle sollecitazioni di chi mi scrive tramite questo sito. Prima di partire per la Siberia, chiediamoci: quanto è importante per me questo viaggio? Cosa sono disposto a fare per raggiungere le mete e gli obiettivi che mi sono prefissato? Ho esagerato rispetto a quelle che sono le mie capacità/potenzialità? Ho la situazione sotto controllo, per quanto possibile?

         Dalle risposte che ci diamo dipende parte della riuscita del viaggio e, soprattutto, il ricordo e le sensazioni che ci porteremo dietro per sempre al ritorno. Sono disposto ad arrangiarmi in un mercato per la strada, per comprare da mangiare senza capire una parola? In treno mi vanno bene il rumore, qualunque tipo di compagni che troverò sul vagone, le decine e decine di ore di viaggio su un materasso che presto si infossa? Sono consapevole delle difficoltà che incontrerò nella natura (per chi preferisce la foresta alla città )? Ecc.ecc.

Le risposte variano in base a quanto riteniamo importante il viaggio che stiamo per fare. Allo stesso modo varia la nostra propensione all’adattamento alle situazioni che si andranno ad incontrare: chi reputa il viaggio molto importante, sopporterà eventuali disagi molto meglio di chi ha solo scelto una meta per l’estate, magari facendo rotolare un mappamondo e scegliendo a caso il luogo delle “vacanze”.

Ricordo che superare le proprie paure, districarsi in situazioni nuove o impreviste (senza esagerare!), sapersela cavare da soli e risolvere problemi, mettersi alla prova (poco per volta e senza esagerare! Repetita iuvant!), sono le condizioni di base per creare un bagaglio personale di esperienza, da utilizzare in ogni contesto della vita. Il viaggio può aiutare proprio in questo, nel “costruire” e nel migliorare la nostra personalità e le nostre capacità di relazione con gli altri.

 

Il punto numero 7 vuole dunque essere un monito ed un’esortazione, affinchè si consideri tutto quanto esposto negli altri punti e si prenda una decisione riguardo a come modulare il proprio viaggio in Siberia rispetto alle proprie caratteristiche.

 

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